STORIA DELL’ARTE ITALIANA DEL ‘900

GENERAZIONE ANNI QUARANTA

A cura di GIORGIO DI GENOVA

Edizioni BORA, Bologna, 2009

Pag. 1128


          Naturalmente la rigorosa definitezza di Morandini non costituisce il traguardo dei temperamenti pittorici. Anche quando si avvalgono delle forme della geometria. Ed è il caso dell’abruzzese Lino Alviani, il quale attinge alquanto liberamente dai territori della geometria le morfologie per il suo discorso pittorico. pertanto le forme geometriche più che linguisticamente protagonistiche fungono da supporto di altri momenti espressivi, insomma anziché contenuti linguistici si fanno contenenti di linguaggio altro rispetto alla ratio geometrica. 

             Alviani, lasciatasi alle spalle la lunga peregrinazione nell’ambito di un iconismo ancora intriso di risentimenti informali, talvolta con slittamenti nel decorativo, sul finire degli anni Ottanta ha iniziato a recuperare il disegno in opere con nudi femminili, farfalle, fiori, alberi, marine, foglie e soli, anche neri (Così è in Sole nero n.2), dipinto documentato, assieme a Farfalle e altro, Marina, Fiori gialli al tramonto, Autunno al tramonto, Il rosso racconta n.1, nel cataloghino Alviani, con un testo di Enzo Napolitano, ma senza data né luogo di edizione, se si escludono l’indirizzo e il telefono del pittore di Castel di Sangro). Questi ultimi costituiscono una specie di inserti geometrici alla stregua di altre opere del 1989 (ciclo Break Through), in cui venivano sistemate forme quadrate e rettangolari, in vari casi a collage assieme a panni (Talora questi inserimenti erano smangiati e con una scritta, com’è nel dipinto del 1989 in cui sotto un quadrato, appunto corroso nella metà inferiore, affiora la scritta “La caduta degli dei”. Nel 1989 Alviani era Direttore artistico di Castellarte in Castellalto (TE), incarico che mantenne fino al 1992) in dipinti più o meno effusivamente informali.

            Dopo il rettangolo bianco con scarni motivi gestuali che nel 1990 “bucava” il fondo nero di Segnico, l’effusività proseguiva su registri di un sensibilismo pittorico affidato a cromie dalle tonalità discrete nel ciclo del 1990-91 Estroverso-Introverso, propedeutico preludio alla svolta verso il lirismo di qualche eco kleeiana, ma soprattutto influenzata dall’impatto con la cultura orientale, come vedremo, dei successivi cicli Short stories e Landscape, proposti nel 1995, con documentazione  delle precedenti installazioni ed opere ambientali (Furono realizzate nel ’93 a Montone di Mosciano S. Angelo e nel ’94 all’Aquila, Castello Spagnolo), al Centro Angelus Novus dell’Aquila (La Mostra si tenne del 28 marzo al 13 Aprile 1995, con un testo critico di Antonio Gasbarrini in catalogo, nel quale, appunto, erano documentate con illustrazioni le citate installazioni e opere ambientali del ’93 e ’94). Si trattava di composizioni di quadri nel quadro, composizioni che facevano di ciascuna opera una sorta di mini-esposizione di riquadri con immagini di alberi, di sbiadite memorie paesistiche e del sole, disegni ora geometrici, ora infantili, spirali, ideogrammi, sigilli e qualche memoria di trascorsi informali, tuttavia depurata dal filtro della cultura orientale (Dopo una serie di Mostre in America, soprattutto a New York dal 1992 al 1995, proprio nel ’95 Lino Alviani, che da tempo si interessava alle filosofie orientali ed all’arte cinese, giapponese e coreana, è presente  a Taiwan (Ghang Kai-Shek Memorial Hall di Taipei) ed a Tokyo (Nishiyama-Kikaku).

               Alla base di questa svolta c’era la nuova esigenza, nata sulla scorta dell’approfondimento dei poeti della beat generation, di meditare sul proprio ruolo di pittore e di privilegiare gli strumenti del comunicare in direzione di un ampliamento della coscienza poetica, ampliamento che sulla scorta dello zen ha spinto Alviani a darsi come imperativo categorico il personalissimo haiku,tutt’altro che canonico: “L’idea deve essere vaga/ molto vaga nel vuoto della mente/e lasciare che la cosa accada” (Infatti non tiene conto delle regole canoniche del componimento giapponese definito haiku, il quale deve essere, sì, di tre versi, ma di 5+7+5 sillabe. Tutti gli haiku che spesso si riferiscono alla natura con cui Alviani accompagna o commenta le sue opere sia pittoriche che ambientali non rispettano la sillabazione 5+7+5).

               L’abbandono a questa vaghezza dell’idea inonda di vaghezza l’aura pittorica dell’artista abruzzese, ma non negli aspetti segnici ed ideografici, che finiscono per divenire il marchio (e stavo per scrivere, le stigmate) di un dichiarato orientalismo, che in una installazione alla Tribeka 148 Gallery di New York si è concretizzato con una coda costituita da un rotolo con varie scritte anche in giapponese che dall’ultimo quadretto della sequenza a muro si aggrovigliava liberamente sul pavimento.

                Questa nuova fase dell’attivissimo Lino è continuata ben oltre gli anni Novanta, portando Alan Frankiel a definirlo giustamente ”Poema visuale” ( Cfr. l’opuscolo Alviani, s.l. e s.d. (ma 2002), in cui è contenuto il testo The Mistery of the visible. The Visual Poem of Lino Alviani / Il Mistero del visibile. Il Poema visuale di Lino Alviani, in cui Frenkiel notava: “Siamo quasi sempre di fronte ad immagini composite, come frasi o poesia, la cui presenza ed i cui movimenti sono sottilmente orchestrati intorno ad un tutto armonico. E quando siamo consapevoli del tutto, possiamo proiettarci dentro gli affascinanti dettagli di ogni singolo elemento. Questi elementi sono finestre pittoriche che permettono al nostro sguardo di penetrare nel nostro stesso mondo. Ogni finestra ci offre l’immagine del nostro desiderio, delle nostre memorie, dei nostri pensieri”. Ho definito attivissimo Alviani, dato che nel corso del nuovo millennio ha ideato e istituiti, divenendone curatore e Direttore Artistico, nel 2001 a Scontrone (AQ) il Museo Internazionale della Donna nell’Arte, nel 2004 ad Alfedena (AQ) il Museo dei Comics e nel 2007 a Barrea (AQ) il Centro Internazionale della fotografia contemporanea).

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